Foto di Gerd Altmann
Il nostro cervello è un bellissimo pianeta e come tale è composto dai vari elementi che lo nutrono.
L’ossigeno permette alle cellule di trasmettere l’informazione in ogni area, quindi “l’aria” è essenziale al suo movimento e alla sua buona funzionalità e qualità.
“L’acqua” permette alla materia grigia di rimanere in una giusta temperatura e a tenere i vasi sanguigni nella pressione costante di scesa e risalita, insieme all’aria ne suddivide il colore: grigia è nel movimento, bianca nella custodia del tesoro.
Il “fuoco” determina la velocità dell’informazione e la “terra” ne stabilisce la direzione, assecondandone il viaggio, la invita in un’area e la tiene in forza, la sostiene, la mantiene per riaccompagnarla poi all’uscita.
“L’etere” sovrintende al sistema dei percorsi che prende l’informazione, ne caratterizza la permanenza, la sensazione e la sua memoria.
È proprio nell’etere”, infatti, che si stabilisce la memoria collettiva.
Nel cervello possiamo rilevare nelle ossa (terra) del cranio zone “montuose” e di “pianura”, zone “collinari”, “abissi oceanici” e “crateri”.
Molte delle sue “montagne” sono situate nella zona frontale. È da qui che noi adottiamo il meglio delle nostre imprese, da qui comprendiamo le immagini e ne visioniamo il loro contenuto più nascosto. Identifichiamo e cataloghiamo, unifichiamo e dividiamo per uno scopo immediato.
Dall’alto delle “cime” possiamo vedere tutto, anche il nostro futuro, mentre tra le sue “gole” abbiamo l’intuito di avvenimenti più vicini.
Proprio qui, in una caverna, è situata la ghiandola pituitaria che come una centralina governa i nostri flussi fisici, seguendo il corpo nella crescita, nell’identità sessuale e nel suo metabolismo.
Sovrintende agli impulsi emotivi, tracciandone l’intensità e curandone gli equilibri e nella sua sede si espande la splendida luce della consapevolezza e del discernimento.
Le “montagne” si addolciscono nei lati del lobo parietale, formando delle “colline” da dove l’istinto uditivo è ben collegato sia al suono esterno sia a “un’eco” più profonda. Questa è la zona dove i suoni di ogni tipo vengono avvertiti, ridistribuiti e classificati.
Subito a fianco c’è l’elaborazione del suono. La sua onda si collega alla memoria, all’apprendimento, alla comunicazione, formando un fantastico sistema di risposta che dà vita alla parola.
Due lunghi corsi d’acqua s’infilano nella profondità della materia e ne scoprono i crateri: da queste cavità il “fuoco” si addestra e si espande, sottile e silenzioso si adagia alla parete posteriore del nostro cranio e, avvertendone la giusta custodia, si libera nell’ascesa verso i lobi temporali, formando una piccola curva e connettendosi così ai nervi ottici.
In un gioco caleidoscopico, le immagini si caratterizzano tra colori, misure, spazi. Si accomodano alla cavità dell’occhio e risalgono lungo le pareti centrali, per discendere nell’abisso centrale più profondo: l’oceano del cervello limbico, dove risiede il tesoro delle nostre sensazioni emotive, quelle più conosciute e quelle ancora da conoscere. Qui si stabilisce il contatto con la coscienza del sé come individuo.
La nostra coscienza si eleva attraverso la ghiandola pineale che è posta quasi al centro del nostro cranio e che ci collega, nel buio della notte, al nostro sé più profondo e al nostro sé più espanso.
Abbiamo quasi cento miliardi di cellule nervose nel nostro cervello, quasi quanto un numero di stelle sparse in una galassia, come non possiamo immaginare che le nostre azioni, sensazioni, emozioni, rimangono limitate in un chilo e qualche etto di sostanza gelatinosa?
Come non pensare che il nostro cervello sia paragonabile a una stella principe che interagisce nel vuoto di uno spazio pieno di altri corpi celesti?
E come non pensare che, dentro di noi, risiede una memoria cosmica?
Es’Eker-et e le energie sottili